domenica 15 gennaio 2012

Omelia del vescovo Luciano Monari

31 Dicembre 2011 - Chiesa dei Santi Nazaro e Celso - Brescia
S. Messa di chiusura della 44a Marcia nazionale per la Pace


Si può pensare la pace come il traguardo di un progetto politico, fatto di ideali, obiettivi, strumenti per raggiungerli, tappe, tempi, attori; così Kant aveva scritto sul dovere di tendere a una pace perpetua attraverso la federazione unitaria di Stati liberi e l’instaurazione di un diritto internazionale, fondato su una costituzione repubblicana e liberale a livello planetario. Scriveva il filosofo: “La ragione, dal suo trono di suprema potenza morale legislatrice, condanna in modo assoluto la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere immediato lo stato di pace, che tuttavia non può essere creato o assicurato senza una convenzione dei popoli.” Quindi “non si tratta di sapere se la pace perpetua sia una cosa reale o un non senso[, e se noi c’inganniamo nel nostro giudizio teorico, quando accettiamo la prima ipotesi]. Noi dobbiamo agire sul fondamento di essa, come se la cosa fosse possibile, [il che forse non è,] e in vista di questo scopo stabilire la costituzione…. che ci sembri la più adatta a condurvici e a mettere fine a queste guerre empie, verso le quali sino ad ora tutti gli Stati, senza eccezione, hanno diretto le loro costituzioni interne, come verso il loro fine supremo. In questo modo, se noi non possiamo raggiungere questo scopo, e se esso rimane sempre per noi un pio desiderio, almeno non ci inganneremo certamente facendoci una massima di tendervi senza posa, perché questo è un nostro dovere.” L’immagine di partenza è quella di un mondo permanentemente in guerra; l’immagine finale è quello di un mondo in pace perpetua; la via è un progetto politico di federazione tra i popoli. Kant è abbastanza realista da temere che la pace perpetua non sia raggiungibile, ma è certo che la ricerca della pace è un imperativo della ragione a cui nessun uomo può sottrarsi.

La Bibbia, però, percorre un’altra strada, non necessariamente alternativa. Essa preferisce annunciare la pace come un dono che viene da Dio e che si impianta nella società degli uomini e, addirittura, nella natura materiale. Dal profeta Osea: “In quel tempo farò per loro un’alleanza con gli animali selvatici e gli uccelli del cielo e i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal paese, e li farò riposare tranquilli…. Ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza…E avverrà in quel giorno… io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino nuovo e all’olio e questi risponderanno a Izreel.” Un dono, dunque, con cui Dio interromperà la serie delle disarmonie che esistono nel mondo e nell’uomo e aprirà una via di pace che coinvolgerà gli uomini insieme agli animali e alla terra. Ebbene, quando Gesù, il giorno di Pasqua, mostrandosi vivo ai discepoli, dice loro per due volte: “Pace a voi!” le sue parole non vanno intese come un augurio, come se dicesse: vi auguro di poter vivere in pace. Vanno intese come un dono; Gesù dice: quella pace che io possiedo, quella pace che ho pagato col sacrificio della mia vita, questa pace la trasmetto a voi, perché ne facciate esperienza e perché le diate, come fosse il suo corpo, la vostra stessa vita. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace; ve la dono non come la dà il mondo.” Il mondo, considerato nella sua autosufficienza, riesce al massimo a creare una pace che sia equilibrio degli interessi contrapposti e per questo, inevitabilmente, una pace provvisoria, un armistizio che pone fine a un conflitto, ma prepara il conflitto successivo quando emergeranno nuovi, diversi interessi.

La pace che Cristo dona è anzitutto dono di Dio agli uomini. Così le schiere angeliche, il giorno di Natale, cantano: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini, che Dio ama.” Dio si rivela come colui che ama gli uomini, dichiara di essere in pace con loro, di non essere verso di loro né ostile né indifferente, di sentire la causa degli uomini come causa sua, di porre la sua pace in mezzo agli uomini perché gli uomini possano ‘vivere’. Riconciliati con Dio; amati e perdonati da lui quando gli eravamo nemici – questa è una pace che non possiamo costruire e meritare, che possiamo solo accogliere liberamente e gioiosamente come un dono. Forse qualcuno penserà che la pace di Dio sia solo una bella idea religiosa, incapace di agire efficacemente nella realtà della storia; che potrebbe addirittura apparire un annuncio alienante, perché distrae l’attenzione dai problemi veri della pace: Israele e i Palestinesi, l’Iraq e la Siria, l’Afghanistan e la Nigeria, il Congo e la Somalia; per non parlare di finanza ed economia, di destra e di sinistra, di ricchi e poveri, di immigrati e cittadini; di generi, di generazioni contrapposte… L’elenco sarebbe lungo e incompleto perché nemmeno sappiamo quanti e quali conflitti insanguinino la terra, avvelenino i rapporti tra gli uomini e le nazioni. Di fronte a questo mondo violento la pace del Natale sembra tenue, gradevole certo, ma inefficace, non risolutiva.

E invece no; invece la pace di Dio è qualcosa di molto concreto, che sostiene tutti gli sforzi che si possono e debbono fare per costruire una pace duratura. L’effetto della pace di Dio lo si riconosce, ad esempio, in Francesco d’Assisi che aveva cominciato la sua età matura cercando la gloria in battaglia e che, riconciliato da Dio, ha dimenticato ogni sogno di gloria bellicosa, ogni bisogno di successo e ha perso quindi ogni motivo di contrapporsi e di combattere gli altri. La spiegazione del cambiamento non sta nel carattere di Francesco, ma nella riconciliazione di Dio: riconciliato da Dio, Francesco è in pace con tutti e con tutto: col cielo e la terra, con la vita e la morte; e quando rivolge agli altri il suo saluto caratteristico (“Il Signore ti dia pace”), le persone che lo ricevono, percepiscono in Francesco una presenza amica, non ostile e di conseguenza si sentono ‘pacificate’, come se quelle parole avessero la magica capacità di introdurle in uno spazio diverso, dove c’è pace con gli altri, col mondo e soprattutto con se stessi.

Autore della pace nel mondo è l’uomo, l’uomo con le sue scelte e i suoi comportamenti, con le istituzioni che crea e i rapporti che stabilisce. Ora, è pensabile che sia un costruttore di pace chi non è in pace in se stesso? chi è attaccato ossessivamente al possesso o al successo o al potere e quindi vede gli altri come avversari? Chi non vuole vedere il suo peccato e scarica tutte le colpe sugli altri? La pace che viene da Dio come dono è una forza pacificante all’interno ed è una forza di libertà per agire pacificamente all’esterno. Qualcuno potrebbe obiettare che, se davvero Dio ha donato la pace al mondo attraverso Gesù Cristo, il mondo dovrebbe essere in pace da un pezzo, ma l’obiezione non è pertinente. I doni di Dio non sono benefici che si aggiungono al patrimonio materiale di qualcuno e lo accrescono; sono invece doni che s’impiantano nel profondo della libertà umana per renderla capace di amare. Non ci esonerano dalla necessità di essere responsabili; ci liberano, piuttosto, dalla costrizione ad essere egoisti. Se la pace che viene da Dio non è stata in grado di creare un mondo in pace, la colpa non ricade su Dio che non ci ha amati abbastanza, ma su di noi che non accettiamo il rischio insito nella pace di Dio. Non è possibile ragionare e agire in modo mondano (cercando cioè il successo in qualcuna delle mille sue forme) e pretendere che la pace di Dio sia operante dentro di noi; non è possibile coltivare risentimenti, covare vendette, tendere tranelli e pretendere di avere in noi stessi la pace di Dio. E’ su di noi che dobbiamo compiere il primo lavoro perché solo uomini riconciliati potranno pensare e desiderare e costruire un mondo riconciliato.

La nostra responsabilità è quella di diventare persone credibili, fidabili: persone sulle quali gli altri possono contare, certi di non essere ingannati; persone che dicono parole vere, che fanno scelte buone, che non nascondono ambiguità, che mantengono le promesse e che non tradiscono, che operano seriamente con competenza nella società, che hanno la pazienza di studiare, l’umiltà di correggersi, il coraggio di rischiare la fiducia verso gli altri.

Ho citato sopra san Francesco; ma potrei citare nello stesso modo Etty Hillesum, non cristiana e nemmeno praticante; ebrea e perseguitata che, attraverso un cammino sorprendente, ha dato testimonianza di una persona riconciliata, capace di non odiare nemmeno i suoi persecutori. Dal suo diario: “Abbiamo ancora così tanto da fare con noi stessi, che non dovremmo neppure arrivare al punto di odiare i nostri cosiddetti nemici. Siamo ancora abbastanza nemici tra noi….é l’unica alternativa che abbiamo…. Ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancor più inospitale.” (23 settembre 1943) Così la grande Etty. Sarà perché divento vecchio ma mi sembra che di semi di odio ne siano stati gettati tanti nella nostra società; semi gettati là per interesse, per desiderio di contrapporsi, di vincere, di aver ragione… Per tornare ad essere una società riconciliata ci sarà un prezzo alto da pagare e lo pagheranno coloro che sapranno non rendere male per male, ma vincere il male con il bene; che sapranno sciogliere i loro risentimenti anche di fronte al male ricevuto. Persone che i media non conoscono ma che, senza nemmeno saperlo, sostengono il mondo e gli impediscono di crollare sotto il peso degli opposti egoismi.

Uomini riconciliati possono e debbono cercare e creare le strade verso una pace mondiale. Non sarà mai una disposizione stabile delle cose perché il mondo è in continuo cambiamento; le soluzioni di oggi dovranno essere riviste e rinnovate domani. E siccome andiamo verso un mondo dove culture diverse s’incontrano, si mescolano, si criticano e si correggono a vicenda, non sarà facile trovare le strade vere della pace. Ci vorrà attenzione, studio, creatività, pazienza, spirito di sacrificio, distacco dalle proprie idee e preferenze, capacità di autocritica, disponibilità a cambiare e rinnovarsi, attenzione alle culture altrui, conoscenza consapevole e serena della propria… La sfida è grande e complessa, ma la posta in gioco è davvero alta: un mondo solidale sarebbe una energia incredibile al servizio di un’autentica crescita umana. Tocca soprattutto a voi giovani avventurarvi per questa strada ed esplorarla con passione e distacco nello stesso tempo, con libertà e amore, con pazienza e ardimento. Ma la radice salda di tutto questo movimento può essere solo la convinzione che la pace è posta dentro di noi dall’amore infinito ed eterno di Dio. A questa pace potremo sempre attingere anche quando le condizioni esterne (politiche, economiche, culturali) si mostreranno difficili, anche quando il salario che riceveremo dal mondo per il nostro impegno sarà scarso o nullo o addirittura in perdita.

È l’ottava del Natale; otto giorni fa, nella Messa di mezzanotte, abbiamo ascoltato parole di promessa: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio… grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine… sul suo regno che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre. Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.” Oggi, alle soglie di un anno nuovo, ascoltiamo parole di benedizione: “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace.” Così sia.

Nessun commento:

Posta un commento